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“UN’ITALIA SOVRANA IN UNA NUOVA EUROPA”

| Righetto |

Intervista a Paolo Becchi, “guru” del sovranismo italiano

Docente di Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Genova ed editorialista di Libero Quotidiano, Paolo Becchi ha fatto irruzione nel dibattito politico italiano come “ideologo” del Movimento Cinque Stelle (successivamente dissociatosi, si veda il suo Cinquestelle & Associati. Il movimento dopo Grillo, Kaos editore). I suoi libri più recenti Dalla Seconda alla Terza Repubblica. Come nasce il governo Lega- M5S (scritto con Giuseppe Palma per Paesi Edizioni) e Italia Sovrana (per Sperling & Kupfer) esprimono l’analisi “politicamente scorretta” dell’affermazione del sovranismo in Italia. È stato tra i primi a parlare di “sovranismo” ed ha introdotto nel linguaggio politico la distinzione  tra “sovranismo debole” “sovranismo forte”. Abbiamo avuto il piacere di conversare con lui.

D. Professor Becchi, da anni sia in Italia che in Francia esponenti politici e studiosi parlano della fine della dicotomia destra – sinistra. In Francia ad esempio Marine Le Pen pare avere  superato la connotazione “destra” del suo partito in favore di una collocazione nel confronto tra sovranisti e mondialisti, reclutando anche non pochi esponenti politici provenienti dalla sinistra comunista; Alain De Benoist, il fondatore della Nouvelle Droite, parla del passaggio da un asse orizzontale (destra – sinistra) ad un asse verticale (popolo contro èlite). In Italia già Marcello Veneziani anni fa parlava dell’alternativa tra comunitari e liberal. E’ in questa prospettiva che deve essere vista la nascita in Italia del governo sovranista Lega – M5S?

R. Negli ultimi vent’anni ci eravamo abituati a confrontare due coalizioni (centro-destra e centro- sinistra). Ciò che è accaduto con le elezioni di marzo dello scorso anno – il superamento di questo schema –  ha tuttavia dei presupposti negli anni precedenti. Già nel 2013 l’affermazione elettorale del M5S aveva fatto vacillare l’unicità dei due blocchi: per la prima volta dal 1994 irrompeva una formazione politica che dichiaratamente andava oltre le precedenti collocazioni e le precedenti coalizioni. Nel 2014 il neosegretario della Lega Matteo Salvini sanciva la svolta “nazionale” della Lega con la campagna per le elezioni europee per l’uscita dell’Italia dall’Euro. Ciò che è accaduto a marzo è la somma di queste due novità politiche degli scorsi anni: un partito che non si definisce né di destra né di sinistra ha trovato un’alleanza programmatica e governativa con una formazione che presentatasi elettoralmente nella coalizione di centro-destra si è poi staccata dando vita ad un nuovo esperimento politico. Per la Lega questo superamento della coalizione di centrodestra è stato per così dire un “ritorno alle origini” stante la svolta salviniana: il partito di Bossi nacque infatti come partito federalista e autonomista (per un periodo anche secessionista) ma comunque post-ideologico.

Il dato politico e filosofico è questo: in un paese fondatore dell’Unione Europea si è affermato un governo inedito che è portatore di una visione (sovranista appunto) di riaffermazione della sovranità nazionale rispetto a Bruxelles. Un tale esperimento in Francia (ad esempio mediante un’alleanza tra Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon)  non sembra  possibile. Ma l’esperimento italiano dovrebbe pure insegnare  qualcosa.  

D. Dall’azione di governo si può evincere una strategia di riconquista degli spazi di sovranità. Non più un “attacco frontale” (nel senso di dichiarazioni immediate di uscita dall’euro e dall’UE) ma una politica di “trattativa” su ogni singola tematica con Bruxelles: dalle manovre economiche all’immigrazione, alla politica estera, l’Italia ogni volta che intraprende un discorso su Bruxelles mette sul tavolo fattori di forza quali la contribuzione fiscale al bilancio europeo e le posizioni nel Mediterraneo. Quali ragioni e quali obiettivi supportano questa strategia?

R. Bisogna tenere conto di un fattore: attualmente siamo in una fase di incertezza e di attesa, la Commissione Europea  sta infatti esaurendo le proprie funzioni. Questa strategia “attendista” dovrà confrontarsi con gli esiti delle prossime elezioni europee: il risultato elettorale potrebbe portare ad un’affermazione delle formazioni sovraniste in grado in sede parlamentare di rompere quell’alleanza  tra il PPE e PSE che sinora ha guidato il parlamento europeo. La rilevanza di un simile scenario risiede nel fatto che la nomina del Presidente della Commissione Europea, pur di competenza del Consiglio europeo (composto dai capi di stato e di governo degli stati membri), deve essere approvata dal Parlamento Europeo a maggioranza dei suoi membri. In questo scenario una consistente affermazione sovranista alle prossime elezioni potrebbe mettere in discussione nomine analoghe a quelle degli anni scorsi di esponenti interessati solo a difendere i princìpi neoliberali che hanno provocato gravi sofferenze  ai popoli europei.

D. Non vede il rischio che la lotta contro l’Unione Europea da parte dei movimenti sovranisti degeneri (o in alcuni casi sia già) una lotta contro la stessa idea di Europa, che – a prescindere dai fondamenti ideologici e ideali su cui la si vorrebbe costruire – appare sempre più come una necessità storica in un mondo che vede l’affermarsi di Grossraum (per usare le parole di Carl Schmitt) quali USA, Russia e Cina? Non c’è il rischio che potenze non europee possano indirizzare  funzionalmente il sovranismo verso la distruzione dell’Europa intesa come blocco geopolitico?

R. Non vedo questo rischio perché le posizioni in favore di un ritorno puro e semplice agli Stati nazionali,  chiusi in loro stessi,  non si presenta come punto programmatico del sovranismo. Per lo meno per  come lo intendo io, ma credo che su questo convenga anche la Lega. Bisogna ricordare che l’Unione Europea è una costruzione molto recente (il Trattato di Maastricht è del 1992) e quindi la sua messa in discussione non va a significare la distruzione totale di un percorso iniziato su basi diversi  con i Trattati di Roma del 1957, che erano fondati sul riconoscimento degli Stati nazionali. È l’Unione Europea da  Maastricht in poi che ha perseguito la dissoluzione degli Stati Nazionali perché restavano i baluardi contro l’affermazione del mercato che si autoregola. E’ in questa prospettiva che deve essere vista la loro difesa. Non credo che promuovere l’idea di Europa come Confederazione di Stati Sovrani che limitano le proprie competenze a materie di interesse comune, come ad esempio la politica estera,  equivalga a volere un’Europa filoatlantica o filorussa. Occorre pensare ad una Nuova Europa come ad un  “grande spazio” che abbia un proprio ruolo  nell’ ordine geopolitico mondiale.  

D. Le rivoluzioni politiche vanno (o almeno dovrebbero andare) di pari passo con le rivoluzioni culturali. Che bilancio si può fare a riguardo con riferimento al sovranismo. In particolare, la nomina di Marcello Foa a presidente della RAI può contribuire a dare al sovranismo una rappresentanza mediatica a fronte di un’intellighenzia mondialista consolidatasi nel decenni?

Semplificando, il problema è sempre lo stesso: “a sinistra si legge ancora Repubblica, a destra non si legge nulla”. All’interno dei due partiti di governo non vedo un’elaborazione culturale, che pure entrambe le formazioni hanno nel loro DNA: il M5S è figlio di Gianroberto Casaleggio e della sua idea delle rete, che rende possibile la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica senza intermediazione, mentre la Lega vanta un padre quale Gianfranco Miglio con la sua idea del federalismo.  Ma oggi?  Il Movimento 5 Stelle mi sembra privo di una visione politica, vive alla giornata con  parole d’ordine  come reddito di cittadinanza e No Tav, mentre la Lega  prende alla lettera il principio “popolo contro élite” dimenticandosi che se dal popolo non sorge una nuova élite,  promotrice di un orizzonte culturale diverso da quello ora impostoci, sarà difficile vincere la battaglia contro le élites dominanti.

Per quanto riguarda la RAI, più che per la nomina di Marcello Foa (che non vedo provvisto dei poteri in grado di smontare un apparato consolidato nei decenni) colgo invece segnali positivi dal direttore del TG2 Gennaro Sangiuliano e da Carlo Freccero. Quest’ultimo, in particolare, nel suo programma “Povera Patria” (purtroppo trasmesso in un orario notturno impossibile) ha addirittura dato spazio alla tematica del signoraggio bancario. Freccero stesso ha affermato di voler dare spazio in televisione  a blog indipendenti: dato il fermento che  il sovranismo trova sui blog e sulla rete, se la RAI desse spazio al web, la combinazione sarebbe indubbiamente vincente quanto all’efficacia ed ai contenuti dei messaggi trasmessi. Io ad esempio sono reduce da un lungo dibattito pubblico con Diego Fusaro e Alessandro Somma a Bologna ripreso dal blog di Claudio Messora Byo Blu: se, ad esempio, stralci di un simile incontro fossero trasmessi sulla televisione pubblica entrerebbero nelle case di milioni di italiani. È solo un sogno?

D. A maggio le elezioni europee potrebbero portare in Europa ciò che si è affermato in diversi Stati membri. Le forze politiche italiane come si stanno orientando in vista di questo appuntamento che non pare essere solo elettorale?

R. “Revisione dei trattati” è la formula che tutte le forze politiche stanno scandendo in vista delle elezioni europee: ma nessuno, ahimè nemmeno i sovranisti, dicono in che senso vorrebbero rivederli. Ad esempio non viene precisato se s’intende mettere in discussione Maastricht e Lisbona e ritornare allo spirito di Roma,  o se ci si vuole limitare alla modifica di accordi intergovernativi quali il Fiscal Compact. Forza Italia, con un programma basato su “Forza Europa”, è condannata all’estinzione. Le elezioni politiche europee segneranno la fine politica di Berlusconi e del suo partito. Lega e M5S sembrano volere mettere da parte toni eccessivamente anti-UE e hanno escluso la prospettiva dell’uscita dall’euro, non compresa del resto nel contratto di governo. Eppure la battaglia per il recupero della sovranità monetaria alle europee del 2014 segnò l’inizio dell’ascesa politica di Matteo Salvini. E  non vedo per quale ragione  oggi debba prevalere il contratto di governo sulla continuità con quella linea: il contratto di governo, che non prevede l’uscita dall’euro, vincola i due partiti in Italia ma non in Europa, dove corrono da soli. Il Movimento 5 Stelle  privo di idee  rischia  grosso e Di Battista è  solo un’arma spuntata.  La Lega può fare il boom ma dovrebbe dotarsi quanto prima di un serio programma politico europeo fondato su quella che potrebbe essere una “Carta dei diritti dei popoli europei”, fondata sull’ idea che l’Europa si ricostruisce dal basso e non dall’alto. Il  pericolo è che a fronte dell’assenza di contenuti radicali nelle maggiori forze politiche non crescano piccole forze politiche, come Fratelli d’Italia, ma  l’astensionismo. E questo sarebbe un peccato, perché avvantaggerebbe il PD e vanificherebbe un’occasione storica che difficilmente si ripresenterà.

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