Skip to main content

Yellowstone, frontiera del sogno americano

John Dutton è il protagonista principale di Yellowstone, la celebre serie televisiva statunitense che terminerà quest’anno con la quinta stagione, in cui Dutton, impersonato da Kevin Costner, è proprietario di un immenso ranch nel Montana. La serie tv è un formidabile affresco delle contraddizioni americane, in cui l’identità, il senso di appartenenza si scontrano con la brutalità del mito della frontiera, intesa metaforicamente come sforzo per la conquista, per la cui acquisizione ogni mezzo è lecito. Sogno e incubo americano.

LA FRONTIERA DEL COWBOY

E la frontiera la si può anche ereditare, come accaduto per i Dutton, la cui rigogliosa terra, originariamente era patria dei Nativi americani, sebbene a questi fosse estraneo il concetto stesso di proprietà privata. Cadde nel vuoto il monito: “Al Dio degli inglesi non credere mai!” Avranno modo di apprenderlo sulla loro pelle, rossa come la terra a cui torneranno. Quando la frontiera la si eredita, la sua spazialità perde la dinamicità e l’estensione che aveva in origine e assume la staticità del confine che a sua volta diviene limes, trincea, allora l’identità si lega alla polvere della terra, la quale porta in dote le prime radici, trasmesse di generazione in generazione attraverso la tradizione del duro lavoro del cowboy, narrato così spesso tramite quell’illusoria patina cinematografica utile solo a propagandare sogni, libertà e diritti a variegate sfumature di felicità.

Ma la vita del cowboy è una pastoia ancora oggi ritmata dagli eterni cicli della natura, una fune o meglio un lasso e un pendolo che ciondolano tra un sacrificio che lascia in bocca il sapore ferroso del sangue e la spontanea e al tempo stesso inevitabile vita comunitaria – sebbene permanga l’anelito individualista e libertario – che si instaura tra i cowboy, i quali istintivamente la tramandano. Quasi fosse una marchiatura. Capita, talvolta, che i guadagni non siano solo materiali ma anche esistenziali. Necessari.

Ciò che è imperscrutabile tale deve restare, sarà la mano di un Dio a indicare la strada. La predestinazione assurge nel duro lavoro quotidiano: “Prega come un diavolo e resisti” sussurra il vecchio Lloyd, l’anziano che nel ranch si occupa di una delle mansioni più delicate: tramandare, perché nessuno di noi può farcela senza un maestro, senza un punto di riferimento.

NESSUNO SPAZIO PER POLITICALLY CORRECT E WOKE

In Yellowstone non c’è spazio per l’asfissia politically correct e i deliri woke, anzi l’intera serie televisiva è un manifesto intenzionalmente alternativo rispetto alla narrazione dominante e lo si evince in ogni episodio: punta di diamante è la bionda Beth, il figlio che John Dutton avrebbe voluto avere, il cui carattere, solo apparentemente indomito e la selvaggia e lasciva avvenenza che rimane puntualmente il desiderio irraggiungibile di ogni residuo maschile proveniente dalle coste progressiste, è un dardo lanciato a difesa di quella trincea, di quella frontiera per cui Beth crede sia giusto donarsi; a dimostrazione che anche il focolare si può estendere oltre le mura domestiche: oppressione e sottomissione sono storielle per snowflakes contemporanei, a Yellowstone il femminile non si degrada in femminismo ed è John Dutton quando da capofamiglia si candida a governatore del Montana a marchiarlo a fuoco: “Se è il progresso che volete, allora non votate per me. Sono l’opposto del progresso. Io sono il muro contro cui va a sbattere, e non sarò io quello che si rompe.”

Con buona pace dei risvegliati liberal.

Pensiero Verticale Podcast

Zambracca Podcast

Sostieni Pensiero Verticale